Tempo, dolore..., Jiddu Krishnamurti

L'uomo vive in base al tempo. Inventare il futuro è stato il suo gioco preferito per fuggire. 

Pensiamo che i mutamenti in noi stessi possano generarsi col tempo, che l'ordine dentro di noi possa essere costruito poco per volta, aggiunto giorno per giorno. Ma il tempo non porta ordine e pace. Così dobbiamo smetter di pensare in termini di gradualità. Ciò significa che per noi non c'è un domani in cui essere in pace. Dobbiamo esserlo all'istante.
Quando c'è un pericolo reale, il tempo scompare, non è vero? Vi è una reazione immediata. Ma non vediamo il pericolo in molti dei nostri problemi e quindi inventiamo il tempo come mezzo per sopraffarli. Il tempo è ingannatore, dal momento che non fa niente per aiutarci a generare un cambiamento dentro di noi. Il tempo è un movimento che l'uomo ha diviso in passato, presente e futuro e finché egli continuerà a dividere sarà sempre in conflitto.
Imparare è una faccenda di tempo? Non abbiamo imparato dopo migliaia di anni se esiste un modo migliore di vivere piuttosto che odiarci e ucciderci l'un l'altro. Il problema del tempo è molto importante per comprendere se dobbiamo risolvere questa vita che noi abbiamo contribuito a rendere così mostruosa e priva di valore qual è.
La prima cosa da comprendere è che possiamo guardare il tempo solo con quella freschezza ed innocenza della mente che abbiamo già visto. Siamo confusi dai nostri moltissimi problemi e ci perdiamo in quella confusione. Ora, se ci si perde in un bosco, qual è la prima cosa da fare? Ci si ferma, non è vero? Ci si ferma e ci si guarda intorno. Ma quanto più siamo confusi e persi nella vita tanto più ci affrettiamo, cercando, domandando, chiedendo, implorando. Così la prima cosa da fare, se posso suggerirla, è di fermarsi completamente nell'intimo. E quando vi siete fermati intimamente, psicologicamente, la vostra mente si riempie di pace diventa estremamente chiara. Allora potete realmente studiare il problema del tempo.
I problemi esistono solo nel tempo, cioè quando affrontiamo qualcosa in modo incompleto. Quando affrontiamo una sfida in modo parziale, frammentario o tentiamo di fuggirla - cioè, quando la affrontiamo senza una reale attenzione - creiamo un problema. E il problema si protrarrà finché continueremo a dargli una attenzione incompleta, finché spereremo di risolverlo uno di questi giorni.
Sapete cos'è il tempo? Non secondo l'orologio, non il tempo cronologico, ma il tempo psicologico? E' l'intervallo tra l'idea e l'azione. L'idea naturalmente tende all'auto-protezione, è l'idea della sicurezza. L'azione è sempre immediata; non è nel passato e neanche nel futuro; per agire bisogna essere sempre nel presente. Ma l'azione è così pericolosa, così incerta che ci conformiamo all'idea che speriamo ci dia una certa sicurezza.
Guardatelo in voi stessi. Avete un'idea di ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, o è un concetto ideologico di voi stessi e della società, e secondo quell'idea agite. Quindi l'azione è conforme a quell'idea, molto vicina ad essa, e da ciò sorge sempre il conflitto. C'è l'idea, l'intervallo e l'azione. E in quell'intervallo c'è il campo del tempo. L'intervallo è essenzialmente pensiero. Quando pensate che domani sarete felici, allora vi siete fatta un'immagine di voi stessi che ottenete un certo risultato nel tempo. Il pensiero, tramite l'osservazione, tramite il desiderio, e il continuarsi di quel desiderio sostenuto da un ulteriore pensiero che dice: "Domani sarò felice. Domani avrò successo. Domani il mondo sarà un posto stupendo". Così il pensiero crea quell'intervallo che è il tempo.
Ora noi ci chiediamo, si può porre fine al tempo? Possiamo vivere in modo così completo che non ci sia un domani a cui il pensiero debba pensare? Poiché il tempo è dolore. Cioè, ieri, o migliaia di giorni fa, amavate, o avevate un compagno che se ne è andato, e quel ricordo rimane e voi pensate a quel piacere e a quel dolore - guardate indietro, desiderate, sperate, rimpiangete, così il pensiero tornandoci su ancora e ancora genera quello che chiamate dolore e dà al tempo continuità.
Finché ci sarà l'intervallo di tempo generato dal pensiero deve esserci dolore, deve esserci il permanere della paura. Così ci si chiede, questo intervallo può finire? Se dite: "Finirà mai?", allora è già un'idea, qualcosa che vorrete raggiungere, e quindi create un intervallo e di nuovo restate intrappolati.

Ora consideriamo il problema della morte che è un problema immenso per la maggior parte delle persone. Voi conoscete la morte, vi passeggia accanto ogni giorno. E' possibile incontrarla in modo così completo che non dobbiate più farvene un problema? Per poterla incontrare in un modo simile tutte le credenze, tutte le speranze, tutte le paure su se stessa, debbono finire, altrimenti incontrerete questa cosa straordinaria con una conclusione, una immagine, una ansietà precostituita, e quindi la incontrerete nel tempo.
Il tempo è l'intervallo tra l'osservatore e la cosa osservata. Cioè l'osservatore, voi, ha paura di incontrare questa cosa detta morte. Non sapete cosa vuol dire; avete ogni tipo di speranza e di teoria su di essa; credete alla reincarnazione o alla resurrezione o a qualcosa chiamata anima, atman, una entità spirituale priva di tempo e che chiamate in vari modi. Ora avete scoperto da soli che esiste un'anima? O è piuttosto un'idea che vi è stata tramandata? C'è qualcosa di perenne, di continuo che è al di là del pensiero? Se il pensiero può pensare ad essa, allora si trova nel campo del pensiero. Scoprire che niente è perenne è di una importanza estrema perché solamente allora la mente è libera, allora potete guardare, e in ciò c'è grande gioia.
Non potete avere paura di ciò che è sconosciuto, perché non sapete che cos'è l'ignoto e quindi non c'è niente di cui aver paura. Morte è una parola, ed è la parola, l'immagine, che crea paura. Dunque potete guardare la morte senza la sua immagine? Finché esisterà l'immagine da cui deriva il pensiero, esso deve necessariamente creare la paura. Allora o razionalizzate la vostra paura della morte o opponete una resistenza contro l'inevitabile oppure inventate innumerevoli credenze per proteggervi dalla paura della morte. Così si crea un burrone tra voi e la cosa di cui avete paura. In questo intervallo di tempo c'è il conflitto che è paura, ansietà e autocommiserazione. Il pensiero, che genera la paura della morte dice: "Rimandiamola, evitiamola, teniamola il più lontano possibile, non pensiamoci", ma voi ci state pensando. Quando dite "Non ci penserò", avete già escogitato il modo per evitarlo. Voi avete paura della morte perché avete voluto rimandare il problema.
Abbiamo separato la vita dalla morte, e l'intervallo tra la vita e la morte è paura. Quell'intervallo, quel tempo, è creato dalla paura. Vivere è la nostra tortura quotidiana, la nostra quotidiana offesa, dolore e confusione, con un occasionale aprirsi di uno spiraglio su mari incantati, Questo è ciò che chiamiamo vivere, e abbiamo paura della morte, che è la fine di questa miseria. Preferiamo essere fedeli a quello che conosciamo piuttosto che fronteggiare l'ignoto - e quello che conosciamo è la nostra casa, i nostri mobili, la nostra famiglia, il nostro carattere, il nostro lavoro, la nostra conoscenza, la nostra fama, la nostra solitudine, i nostri dèi - quella piccola cosa che si muove incessantemente entro il proprio perimetro col proprio limitato modello di esistenza amareggiata.
Crediamo che vivere sia qualcosa che appartiene al presente e che morire sia qualcosa che ci aspetta bene lontano. Ma non ci siamo mai chiesti se questa lotta per la vita quotidiana è in realtà una vita. Vogliamo saper la verità sulla reincarnazione, vogliamo provare la sopravvivenza dell'anima, diamo ascolto alle affermazioni delle chiromanti, e alle conclusioni delle ricerche psichiche, ma non ci chiediamo mai, mai, come vivere  - vivere con felicità, con incanto, con bellezza ogni giorno. Abbiamo accettato la vita com'è con la sua agonia e disperazione e ci siamo abituati, e pensiamo alla morte come a qualcosa da evitare con molta cura. Ma la morte è straordinariamente simile alla vita quando sappiamo come vivere. Non si può vivere senza morire. Non potete vivere se non morite psicologicamente ogni minuto. Non è un paradosso intellettuale. Per vivere completamente, interamente ogni giorno come se ci fosse una nuova bellezza, ci deve essere al morte per qualsiasi cosa che appartenga a ieri, altrimenti vivete in modo meccanico, e una mente meccanica non può mai sapere che cosa sia l'amore e cosa sia la libertà.
Molti di noi hanno paura di morire perché non sanno che cosa voglia dire vivere. Non sappiamo come vivere quindi non sappiamo come morire. Finché avremo paura della vita avremo paura anche della morte. L'uomo che non ha paura della vita non ha paura di essere totalmente insicuro poiché comprende che intimamente, psicologicamente, non esiste sicurezza. Quando non esiste sicurezza c'è un movimento senza fine e allora vita e morte sono la stessa cosa. L'uomo che vive senza conflitto, che vive con la bellezza e con l'amore, non ha paura della morte perché amare è morire.
Se morite a tutto ciò che conoscete, inclusa la vostra famiglia, i vostri ricordi, qualsiasi cosa abbiate provato, allora la morte è una purificazione, un processo di ringiovanimento; allora la morte genera innocenza, e solo chi è innocente è appassionato, non la gente che crede o vuole scoprire cosa succede dopo la morte.
Per scoprire realmente cosa succede quando morite, bisogna che moriate. Questo non è uno scherzo. Dovete morire - non fisicamente, ma psicologicamente, nel vostro intimo, morire a tutto ciò che avete avuto caro o che vi ha causato dolore. Se morite ad uno dei vostri piaceri, il più piccolo o il più grande, in modo naturale, senza sforzo o discussioni, allora conoscete cosa vuol dire morire. Morire vuol dire avere una mente completamente vuota a se stessa, vuota dei suoi quotidiani desideri, piaceri, angosce. La morte è un rinnovamento, un mutamento in cui il pensiero non interviene, poiché il pensiero è vecchio; quando c'è morte c'è qualcosa di completamente nuovo. La libertà dal conosciuto è amore, e allora vivete. 

Libertà dal conosciuto, J. Krishnamurti 

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