Meditazione, Jean klein

 


Quando abbiamo compreso pienamente che il corpo, le sensazioni, le emozioni e il pensiero sono oggetti della coscienza e che noi siamo il loro conoscitore ultimo, si stabilisce in noi un certo contegno, una posizione che integreremo sempre più. Perdiamo allora l'abitudine di identificarci con il pensatore, l'attore, colui che soffre o gioisce, e l'ego perde ogni sostanza. Per il fatto di essere orientato verso qualcosa di non oggettivo e di ignoto, le energie affettive, intellettuali e spirituali vengono raggruppate e orchestrate in modo del tutto nuovo.
Questa riflessione profonda, che è la meditazione, dev'essere esaminata sotto molti angoli ed esercitata ogni giorno per canalizzare le nostre energie. E le stesse energie che ci legavano al mondo oggettivo, ci condurranno verso il lasciare la presa.
Nel momento in cui saremo nella posizione del testimone, dello spettatore, del conoscitore, quella che si può chiamare l'esperienza non duale accadrà spontaneamente. Lo stesso vento che aveva coperto di nuvole il sole sarà quello che le disperderà. E quando le nubi non ci saranno più, vedremo il sole, e non avremo bisogno di una pressione per vederlo.
Per tornare a quanto dicevamo, una volta constatato in questa meditazione che non siamo né il corpo né le attività mentali, occorre condurre anche un approccio parallelo, consistente in un'attenta osservazione del problema dei nostri desideri.
E' infatti attraverso l'oggetto di un desiderio che noi possiamo eventualmente conoscere qual'è, in fondo, la nostra natura intrinseca. Noi cerchiamo continuamente la pace, la gioia suprema e la pienezza, che si solito esprimiamo coi termini più poveri di piacere e di soddisfazione. Ma in verità è pur sempre della pace e della felicità che si tratta. Per ignoranza, cerchiamo di trovare questo stato in un mondo oggettivo, e passiamo da una delusione ad uno scacco finché comprendiamo che questa gioia non si trova negli oggetti, non è provocata dagli oggetti, ma essi puntano soltanto verso al coscienza. E' dunque evidente che dobbiamo trovare questo equilibrio ultimo al di fuori di essi. Quando questo è stato realizzato in modo non superficiale, ed è stato esaminato con molta attenzione, si giunge a raccogliere tutte le energie. Il fatto di aver visto il mondo oggettivo come un simbolo non toglie assolutamente sapore agli oggetti, ma dà loro un accento molto diverso perché essi assumono il loro vero significato.
Questo due temi: quello della dis-identificazione dal corpo e dalle attività mentali, e quello della comprensione che al gioia e la felicità non dipendono dagli oggetti ma risiedono in noi, ci orientano verso l'assoluto.
...
Quando le energie non sono più dirette verso gli oggetti e cessa l'identificazione col corpo e con il mentale, da cui sorge l'ego, l'attività non gira più attorno a lui al fine della sua conservazione o della sua espansione, e attraverso la ripetizione non organizzata né metodica di questa profonda condizione si produce il distacco dal mondo oggettivo. 
Ma ve l'ho già detto, quello che può chiamarsi l'esperienza è spontaneo; è uno stato di grazia che ci invade, e di potrebbe quasi dire che il Sé é la Grazia stessa.
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Come dicono le scritture indù; "questa natura è vicina a noi molto più più del gesto di cogliere un fiore."
Dato che le varie attività appaiono e spariscono nella coscienza, in fondo esse non sono che coscienza.
L'esistenza comporta talvolta delle circostanze in cui le nostre attività sono bruscamente paralizzate o arrestate; in quei momenti la nostra vera natura può trasparire come un raggio di sole attraverso una densissima nuvola. Ma è sempre il sole che la trafigge, non siamo noi a trafiggerla.


Dialoghi con il maestro, Jean Klein 

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